È la prima forma d'arte con cui si viene a contatto. Immaginette che guidano alla scoperta della meraviglia sprigionata dal segno e dalle storie che è capace di inventarsi. Mondi a parte nascosti dalle copertine rigide dei libri di fiabe che le contiene, illustrazioni che si imprimono silenziose nella memoria a lungo termine e che, quando riaffiorano, lo fanno con prepotenza e con quell’inconfondibile odore di sacro. Una forma di devozione e rispetto che non si trasforma crescendo e che non muta nella corsa alla fruizione dei svariati generi che il panorama artistico coevo propone. Una sorta di timore reverenziale amplificato da quei soggetti che sono vere e proprie soglie, inizializzazioni, passaggi e che, come singoli blocchi contigui, piastrellano lo scorrere della vita. Leonardo Cemak sviscera e gioca con le emozioni profonde che sono di tutti. Boschi notturni come scenario dello scambio continuo fra vita e morte, fronde spiritate di grafite dove, in mezzo al nero della notte – ma forse è il verde scuro della vegetazione fitta - bagliori istantanei vengono immortalati come visioni extraterrene, extrasensoriali, o solo come scherzi che l'occhio fa, nel patetico tentativo di riprendersi uno spettro di luce da qualcosa che l'ha interamente assorbita. Figurette sacre degli scorsi secoli, silenziose tappe per i pellegrini, ex-voto o totem commemorativi inselvatichite in mezzo alla vegetazione e al sottobosco: interventi umani che la natura forte e testarda artiglia, ribadendo che tutto ciò che è in essa, inevitabilmente le appartiene.
La mostra “Gentile a Fabriano” raccoglie l’intero percorso di Leonardo Cemak: la sua formazione da illustratore e vignettista di satira politica e sociale, quella del pittore di bianchi, di neri e di alcuni toni di grigio, ma anche la sua passione per quegli angoli reconditi del preappennino marchigiano in cui opera e – solo suggeriti - quei tanti segreti che il bosco gli ha rivelato e che lui gelosamente custodisce.
Noi, uditori e spettatori delle storie che inscena, possiamo solo gustare quei segni netti di nera china: piccole parti dotate di senso, ma coinvolte nell’interazione per la costruzione di un magnifico paragrafo segnico. Ci è concesso il privilegio di cogliere quelle apparizioni luccicanti di bianco sul nero sgranato della carta ruvida e di avvicinarci, con l’incoscienza del fanciullo, per arrivare a capire davvero come si sta, in bilico, al di qua del foglio.